Oggi partiamo alla scoperta di via Po e dei suoi dintorni, non solo perché si tratta di una delle zone più ricche di storia e curiosità di Torino, ma anche perché è tra le più belle e affascinanti della nostra città.
Se non lo sapessi, il primo nucleo di Torino sorse sul cosiddetto quadrilatero romano (leggi il nostro articolo precedente – I segreti del quadrilatero romano), fondato su una scacchiera di quattro lati suddivisi da due arterie centrali.
Su questo primo nucleo la città crebbe lentamente nel corso dei secoli dopo la caduta di Roma, per tutto il Basso e l’Alto Medioevo.
L’immagine qui sotto ti può dare una idea di quanto Torino sul finire del 1600 avesse ancora la dimensione di un piccolo agglomerato di case e terreni. Nota inoltre la posizione privilegiata all’incrocio con i due fiumi, Po e Dora.
Pianta prospettica di Torino. Incisione in rame anonima, 1713-1718 (Archivio Storico Città di Torino – ASCT)
Il 1561 è un anno cruciale per Torino: Emanuele Filiberto di Savoia (raffigurato sul celebre Caval ëd Bronz – cavallo di bronzo – in Piazza San Carlo) porta la capitale del Ducato di Savoia da Chambery a Torino. Il nuovo ruolo di Capitale richiede che Torino assuma nuovi connotati urbanistici e difensivi: prima con la fortificazione della Cittadella – inespugnabile fortezza pentagonale ubicata lungo l’antica cinta muraria, posta a sud-ovest rispetto al centro storico. Poi con vari ingrandimenti, il primo dei quali verso Sud.
L’immagine qui sotto mostra in sintesi lo schema strutturale e la successione cronologica di questi ampliamenti. Come puoi vedere la città era cinta e protetta uniformemente da mura di difesa: una vera e propria città-fortezza.
Schema strutturale e successione cronologica degli ingrandimenti della città
L’espansione verso il fiume Po inizia nel 1600, come “naturale” collegamento tra la porta del Castello e il ponte sul fiume, oggi noto come Ponte della Gran Madre. Per unire la traiettoria tra il Castello e il fiume, fu seguito un percorso obliquo in evidente contrasto con la regolarità della scacchiera ortogonale.
L’immagine qui sotto lo mostra chiaramente: tutte le vie sono regolari, l’unica obliqua – sulla destra – è proprio la nuova via. Questa nuova area prese il nome di “Contrada di Po”.
Pianta di Torino intorno al 1650 (ASCT)
Fu l’architetto Amedeo di Castellamonte che nella seconda metà del XVII secolo portò a compimento il progetto ambizioso. Fece costruire dei portici su entrambi i lati della via, che dalla contrada prese il nome che ha oggi: via Po. Ma è sul lato sinistro della via che collegando gli isolati con una innovativa soluzione a terrazze, formò una passeggiata tutta coperta da portici lunga 1.250 metri tra il Palazzo Reale e il corso dell’arteria.
Questa nuova via Po fu inaugurata nel 1674: sopra i porticati su entrambe i lati furono costruite ordinatissime residenze, tutte della stessa altezza su tre piani, che sono giunte a noi così come furono concepite.
La via Po terminava sulla cosiddetta Piazza d’armi, che univa il ponte sul Po alla via verso Chieri.
In questa incisione in rame qui sotto, risalente al 1770 circa, si vede la fine della via Po sulla allora Piazza d’armi. Nota l’apertura dei palazzi sulla piazza a forma semicircolare, che mantiene la simmetria dei palazzi a tre piani e che prefigura già la soluzione che sarà adottata cinquant’anni più tardi.
Veduta di Via Po, incisione in rame, 1770 circa (ASCT)
Con la ritirata dell’esercito napoleonico e la fine del dominio francese, il ritorno del Re Vittorio Emanuele I di Savoia in città fu celebrato con la ristrutturazione della Piazza d’armi, che divenne la piazza che ancora oggi si chiama Vittorio Veneto, per i torinesi semplicemente Piazza Vittorio. È la piazza che aveva il compito di collegare attraverso il Ponte Vittorio Emanuele – insieme ai due lungofiume laterali e i cosiddetti Murazzi del Po – alla riva destra del fiume, permettendo così l’accesso al quartiere detto di Borgo Po.
Qui sono chiaramente visibili la Chiesa della Gran Madre di Dio, il Monte dei Cappuccini e le strade viarie di accesso alla parte orientale e collinare della città.
La definizione della Piazza Vittorio nella forma che mantiene ancora oggi fu opera dell’architetto Giuseppe Frizzi che nel 1821 iniziò questa difficile sfida. Prima di tutto con la felice intuizione di unire la via Po con la piazza attraverso la sistemazione della sezione semicircolare a cui facevamo riferimento poco fa. Questa sezione si completa con il primo isolato, creando una sorta di morbido imbuto che dolcemente conduce alla piazza vera e propria.
Frizzi continuò la felice soluzione del porticato continuo di via Po anche nella piazza Vittorio, dando vita ad una creazione di continuità armonica, dove gli edifici neoclassici di via Po si uniscono nella Piazza.
Altra grande intuizione fu quella di nascondere l’ampio dislivello, di ben 7.19 metri, tra la via Po e l’accesso al Ponte Vittorio Emanuele realizzando delle vie trasversali alla piazza, che dividono gli edifici in blocchi.
Inoltre per dare l’illusione che gli edifici della piazza avessero la stessa altezza, pose in avanti alcune delle facciate.
Risultato: una illusione ottica e prospettica che ridisegna lo spazio urbano attraverso l’artificio dimensionale.
Nel dipinto di Enrico Gonin qui sotto, datato 1852, si può apprezzare tutta la magia della allora neonata Piazza Vittorio e la magnificenza delle sue proporzioni. Sono ben 39.960 metri quadrati circondati da regolari portici declinanti verso l’accesso al ponte che sovrasta il Po e conduce alla Grande Madre.
Enrico Gonin, Veduta di Piazza Vittorio, litografia, 1852 circa (ASCT)
Terminato il racconto delle vicende che hanno dato forma alla via Po e della sua confluenza in Piazza Vittorio, entriamo nel vivo del racconto di come questi luoghi sono stati vissuti dai torinesi, veri e d’adozione, nel corso del tempo. Una storia degna di essere ricordata.
Questa stretta porzione di Torino, si può dire che fu apprezzata e profondamente amata da uomini illustri e gente comune, di ieri come di oggi.
Come via Roma, anche la via Po fu considerata la passeggiata nobile della buona società, per tutto l’800, il 900 fino ai giorni nostri.
Basti ricordare come Edmondo de Amicis, quello del Libro cuore, nel suo Tre capitali celebra la passeggiata di Via Po come “il più bello spettacolo vivo e nello stesso il più originale che offra Torino. I portici sono i boulevards di Torino”.
Primo Levi passava per via Po con il padre per andare a trovare la nonna materna, e Luigi Einaudi si soffermava nelle botteghe dei librai antiquari che costellavano i portici e i negozi.
Via Po forniva un comodo passeggio ai torinesi e poi li accoglieva, ieri come oggi, nei suoi tanti caffè alla moda che con il tempo divennero pezzi di storia, quasi leggenda.
Basti citare il Caffè Fiorio, aperto nel 1780 al numero 8 all’angolo con la Via Bogino, frequentato da d’Azeglio, Cavour, Lamarmora, Cesare Balbo. E più di recente da Cesare Pavese e dal “turista” Herman Melville. Una bellissima pagina di Fernanda Pivano, che al Fiorio festeggiò la sua laurea, racconta che:
“Pavese era presente (alla festa di laurea) al caffè Fiorio. Ma pochi sanno che in quel caffè era passato Herman Melville a bere la cioccolata. Con la tazzina di cioccolata in mano mi era parso di identificare Pavese con Melville: e lui (Pavese) aveva riso come non lo avrei visto ridere mai più”.
Via Po oggi, si noti sullo sfondo la Chiesa della Gran Madre
Salendo verso Piazza Castello al civico 17 ha sede l’Università degli Studi, fondata nel 1404. Innumerevoli le figure di spessore che la frequentarono: basti citare una su tutte Erasmo da Rotterdam, che si laureò, come ricorda una lapide sotto i portici, nel 1506.
Al numero 20 all’angolo con via Accademia Albertina vi si trova il Caffè Nazionale, che può vantare tra i suoi clienti perfino il filosofo Nietzsche, che amò Torino in modo viscerale e a Torino perse la ragione nel 1888. Del Nazionale Nietzsche gradiva più di ogni altra cosa i gelati e anche gli spettacoli teatrali che una piccola orchestrina accompagnava fino a tarda sera.
In via Po, a tratti magica a tratti surreale, trovò ispirazione il pittore de Chirico che più di ogni altro è stato capace di rappresentare il carattere misterioso e inafferrabile di questa Torino, sospesa tra i fasti del suo nobile e ricercato passato e la dimensione di capitale della cultura e del buon vivere che oggi rappresenta.
Torino è capace di mantenere intatta l’unicità della sua origine ancora oggi: basta leggere nelle facciate e nei portici che abbiamo descritto, nelle pietre e negli spazi che dall’età barocca sono giunti a noi pressochè immutati.
Vivere in Torino oggi, specie in questo lungo rettilineo che separa il Palazzo Reale dalla piazza che porta al Po e alla sua preziosa collina, è quasi come vivere in una bolla spazio-temporale, e in questa bolla si riesce a sentire, magari tra lo sferragliare dei tram e tra le gialle luci che accendono le facciate, i passi lenti e misurati di Nietzsche all’uscita dal caffè Nazionale, o le risate di Pavese con la Fernanda Pivano, e chissà di chi altri ancora….
Una Torino ieri come oggi profonda e multiforme, capace di portare ricchezza in chi la vive e ci abita (ieri come oggi).
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