Canone di affitto: conviene la cedolare secca in tempi di aumento di inflazione?

Canone di affitto: conviene la cedolare secca in tempi di aumento di inflazione?

È una questione che in questo periodo interessa numerosi proprietari di casa. Per saperne di più e orientare la scelta ecco alcuni punti da tenere in considerazione.

La possibilità di optare per una tassazione “calmierata” dei canoni di locazione - a fronte della rinuncia all’aggiornamento del canone - risulta essere la scelta giusta in momenti di bassa inflazione, deve essere invece attentamente valutata quando il vento cambia e si assiste a un aumento generalizzato del costo della vita quotidiana.

Secondo l’art.3 del D.Lgs 13.03.2011 n.23 il proprietario di casa che ha optato per la cedolare secca non può variare il canone annuo pattuito con il locatario e, di conseguenza, aumentare il prezzo dell’affitto. Occorre sottolineare che la scelta di questo regime agevolato da parte del locatore può avvenire sia in sede di registrazione del contratto che alla scadenza di ciascuna annualità contrattuale. Infine, l’opzione della cedolare secca può essere revocata annualmente: questa scelta -come dice espressamente la legge - interessa esclusivamente il proprietario di casa senza che l’inquilino si possa opporre.

Detto questo, conviene sì o no il regime di cedolare secca in tempi in aumento di inflazione? Ecco, a questo proposito, Stefano Spina, consulente fiscale di FIMAA Torino (Federazione Italiana Mediatori Agenti d’affari):

In caso di uscita dal regime di cedolare secca si ritiene che l’adeguamento debba essere calcolato applicando al canone attuale l’adeguamento dell’ultimo anno e non anche quello dell’intero periodo in cui il canone è stato assoggettato a cedolare. Ad esempio se nel 2020 viene stipulato un contratto con un canone annuo di euro 10.000, in cedolare secca per gli anni 2020, 2021 e 2022, e nel 2023 si revoca l’opzione l’adeguamento del canone può essere richiesto solamente con riferimento alla variazione del 2022 e non anche a quella degli anni 2020 e 2021.

A questo punto occorre capire se risulti più conveniente il mantenimento della cedolare secca oppure la sua uscita e quindi l’adeguamento del canone con tassazione ordinaria. La verifica non può che essere fatta confrontando il canone percepito (e quindi quello in cedolare e quello post adeguamento) con le imposte da pagare. Nel caso della cedolare le aliquote sono pari al 10% per i regimi concordati ed il 21% negli altri casi per i quali il calcolo è più complesso. Bisogna tenere conto delle seguenti imposte:

  • imposta di registro che, in assenza di cedolare, deve essere versata nella misura del 2%, oppure 1,4% in caso di contratti convenzionati, e facoltà di rivalsa del 50% in capo al conduttore
  • IRPEF calcolata sul canone contrattuale (ridotto del 30% in caso di contratti convenzionati) da determinare sulla base dei nuovi scaglioni di reddito ovvero:
    • fino a 15.000 euro, 23 per cento;
    • oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 25 per cento;
    • oltre 28.000 euro e fino a 50.000 euro, 35 per cento;
    • oltre 50.000 euro, 43 per cento.

  • addizionali regionali e comunali, anch’esse, calcolate sul canone contrattuale con eventuale riduzione del 30%, con aliquote differenziate in base al reddito.

La simulazione dovrebbe essere fatta non solo in forma puntuale, ovvero riferita all’annualità successiva ma anche con riferimento alla residua durata del contratto, ipotizzando gli eventuali scenari di andamento dell’inflazione, in quanto, in assenza di cedolare, l’adeguamento successivo partirà dal nuovo canone e così di anno in anno.

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